Un ponte per una vita piena
In questi mesi abbiamo avuto l’opportunità di testimoniare in due conferenze internazionali quali “Good practice services” a Trieste presso la Fondazione Basaglia e “Mental Health GAP” a Ginevra presso l’OMS (Organizzazione Mondiale di Sanità). Durante i vari dibattiti, abbiamo ascoltato alcuni psichiatri raccontare di pazienti che ritornano in ricovero ogni pochi mesi perché fuori trovano solo isolamento sociale ed emarginazione. Sono incastrati in un circolo vizioso per cui la stessa persona, una volta curata e stabilizzata con le dimissioni è a rischio solitudine, condizione principe per ricadute che riporteranno il paziente in acuzie e, di conseguenza, davanti al medico, con l’aggravante condizione della cronicizzazione del disturbo in una spirale ‘disagio-cura-dimissioni-solitudine’ e di nuovo ‘disagio-cura-dimissioni-solitudine’.

Frequentando costantemente la Clubhouse, in breve tempo la persona potrà far tesoro dei servizi di riabilitazione, del peer support e della giornata strutturata da lavori significativi, fianco a fianco con colleghi e con nuovi amici.

Nell’immagine n.2 la persona inizia il percorso di riabilitazione con una percezione di sé stessa “malato-centrica” – ovvero, schiacciata nella visione di sé pervasa dalla diagnosi, chiusa nello scandire dei tempi dettati dai farmaci e dalle visite mediche. Durante il percorso riabilitativo verrà sostenuta nel passaggio verso una percezione di sé stessa “persona-centrica”, un complesso universo dove c’è spazio per tante relazioni diverse e tanti aspetti tra cui anche il disturbo, non più area preponderante, ma solo una porzione di un insieme multicolore.